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Il canto della sirena

​

Scosse sono di notte le mie ossa

dalla voce che chiama il tuo nome

Dove sei? Come stai? Che fai?

In sogno, io ti penso

i miei pensieri braccia

mi figgono alla roccia:

dove tu manchi io sono.

Eppure ti ho veduto

almeno un giorno, giuro

nello sguardo dell’uomo

che mi sedeva accanto;

ho sentito il calore

delle tue parole e del tuo abbraccio

mentre l’onda mi succhiava il capo

dabbasso; tendo la mano

adesso e solo il vento

grida ti amo.

 

Mi accarezzo le squame,

queste squame che involgono il mio corpo:

non gambe ma coda e pinne ai piedi.

Ebbi ali, non ricordo

ogni tempo, ogni spazio ha bisogno

del suo corpo mostruoso

feroce adulante sciocco così

da volgersi dal pianto al riso

ma io fui anche altro:

fui donna e resto tale

nella mia voce che chiama il tuo nome.

 

E il tuo nome chiamo con la mia voce

mentre il cielo d’intorno

con un pianto di stelle

e col riso del sole

t’indica la rotta: mostra il tuo volto

a dire che tutto va come deve

e se non vi è rimedio

per il dato di fatto,

nell’abbaglio del mezzogiorno l’ombra

non muore ma risorge

in mille luoghi rotta e ricomposta.

Non cerco una vana consolazione

la pietà del tuo amore

la promessa di una vita felice

per questo mio corpo che ingombra il passo

in acqua e in terra incerto:

non da straniera vado per il mondo.

 

Dove sei? Come stai? Che fai?

Foglie dorate

Coazione a perdere

 

I giorni non stanno fra loro vicini

ma sono da baratri divisi

e là sprofonda, in una silenziosa lontananza,

l’aria respirata e quell’altra

che parlando viene buttata.

Intanto di fronte a quei vuoti

ce ne stiamo a costruire ponti

di parole per dirci che tutto ha un senso.

Eppure non attraversiamo un tempo,

uno soltanto, ma ci muoviamo fra gli istanti

molti che sono frammenti

di un quadro ricomposto

ogni giorno in cui noi siamo

protagonisti, antagonisti, comparse

finanche ombre di cui si potrebbe fare a meno.

 

Questo va dicendosi la foglia

che scivola nell’aria e nell’aria trema

per paura della terra

e quando infine s’afferra  al suolo

spera che un altro vento

la riporti all’indietro

fino al punto del distacco,

per riconsegnarla al ramo.

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