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VIAGGIO A NINIVE

L’orologio nel corridoio batté la mezzanotte e Linda si svegliò d'un colpo.

Le braccia incrociate sul petto, il cuore stretto in una tenaglia, le gambe rigide e gli occhi spalancati sul buio profondo che la circondava: avrebbe voluto pregare.

Ma Linda non credeva più. A niente.

Tremava soltanto. Dio! Dio! Dio… Nessuno le rispondeva. Un mostro, lo sgomento, l’aveva inghiottita e lei non aveva più forza di uscire fuori. La stanchezza le aveva rimpolpato l’anima, che dormiva ormai di un sonno profondo, senza colori, senza immagini, senza voci… Un rantolo le scivolava fuori dalla gola. Dio! Dove sei?.

Non aveva più orizzonti di fronte a sé, nessuna speranza che la sostenesse: tutto sembrava precipitare in un punto, uno soltanto: addosso a lei.

Camminava, da sola, gli occhi a terra, ogni mattina recandosi al lavoro, come cercando qualcosa fra le foglie gialle che l'autunno lasciava a crepitare sotto ai piedi. E rabbrividiva alzando gli occhi sugli alberi nudi. Freddi, scarni, annodati su se stessi: persino loro avevano perduto l’incanto. Poggiava la mano sui tronchi gelati, a consolarli, e alzava gli occhi al cielo, chiedendo a che fossero valsi gli anni inclementi di studio e di sacrificio, a cosa i suoi desideri, se poi la sua esistenza si era dovuta ridurre ad un gracile tran tran, fatto di lavori mai sicuri e di scadenze da rispettare.

Piangeva Linda, perché aveva visto cosa c’era oltre la patina, al di là dell’inganno: sotto le promesse e le buone parole, niente restava di vivo.

Non voleva più vedere, non voleva più sapere. Ti prego, Dio, lasciami in pace. Lasciami sul fondo dove tu mi hai lasciato cadere…E fa’ che nessuna alba venga, domani, a disturbare il mio sonno…

Linda non credeva a niente, ma chiamava aiuto, ogni notte. Poi una gran pena la coglieva: aveva vergogna di sé e piangeva fino a che il sonno non la travolgeva, annullando i confini della pelle che la inchiodavano in un tempo e uno spazio terribili. Ed un sogno gravido di desiderio inondava il suo cuore, l’anima si destava e nel sogno non sognava, ma viveva: lei era lì, con la carne rossa di sangue e di desiderio.

Ecco, Luca. Le sue mani soffici, lisce, le allontanavano i capelli dagli occhi. “Lasciati guardare.” le sussurrava e lei s’aggrappava alle spalle di lui, come un naufrago. Lui avrebbe potuto risarcire la ferita che gocciolava di paura. Luca era la sua speranza e quello no, no, non era un sogno. “Ti voglio bene!” . Un fiato caldo le spirava dentro, una boccata di sole che le accendeva un fuoco di coraggio al centro della pancia.

Nessuna fine, nessun inizio fra di loro, ma un’anima ricomposta nell’unione di due corpi.

L’orologio batté ancora.

Luca non c’era. Niente era restato di lui. Se non il suo ricordo.

Una memoria vivida si accese negli occhi di Linda. Luca seduto sulla sponda del letto. Luca che la guardava con le guance trasformate in due sacche pesanti di rimorso. Luca che diceva: ”Se potessimo rimanere amici…”.

Lei sentì sul fianco il gelo della carezza con cui lui l’aveva sfiorata prima di andarsene.

“Noooooo!” gridò Linda e pensò che niente sarebbe mai riuscita a strapparle Luca dalla mente.

Il corso di balli caraibici, il cinema di mercoledì sera, la palestra tre volte a settimana, le rimpatriate con le amiche per fare due chiacchiere, le birre bevute in piedi al bancone del pub, le fortuite conoscenze serali, le domeniche a giro per l’Italia a fotografare monumenti… Aveva rovesciato la sua vita per trovare una nuova prospettiva da cui guardare gli eventi, ma ovunque andasse, un incontro, una parola, un gesto, una sola occhiata od un abbraccio diventavano lo specchio di situazioni vissute, di errori già commessi e mai perdonati.

E lei non voleva sbagliare. Non più.

Avrebbe voluto conoscere con certezza il suo destino, prima di compiere qualsiasi passo; così restava in bilico sui suoi giorni e là, al bivio dove avrebbe potuto prendersi la responsabilità delle scelte che aveva sempre disatteso, continuava ad aspettare Luca e tutto il suo meraviglioso passato.

“Il mio destino!”.

L’orologio batté.

Erano trascorsi dei mesi da che lui se ne era andato e Linda credeva di esserci riuscita. Invece un imprevisto, una sciocchezza come quella di incontrare in centro un diletto maritino insieme alla beneamata moglie, una coppia come tante, col disdicevole pregio di assomigliare a quell’altra, quella che si vorrebbe non crederla vera, ed ecco che lei si ritrovava nel mare ingarbugliato dei suoi pensieri.

L’antica ferita si era riaperta.

I punti con cui aveva suturato la sua anima come meglio aveva potuto, lei che non sapeva un acca di filo e di ago, erano saltati. D’un colpo. O forse non c’erano mai stati ed era stata un’illusione quella di essere riuscita a ripararsi dal vento che le soffiava dentro. “I buchi se uno ce li ha, prima o poi rifanno vento.” Le lacrime le precipitarono addosso. La tristezza le crollò nel cuore. Svanirono i buoni propositi, le frasi fatte, quelle scritte sui post -it gialli che attaccati allo specchio in camera avrebbero dovuto ricordarle di non perdere mai la speranza, di continuare e provare e riprovare, senza lasciare che l’apatia l’inghiottisse, riducendola ad una triste giovane donna nullafacente.

Le pareva di non essersi mai mossa né di un passo, né di un giorno, dalla maledetta domenica pomeriggio in cui lui, molleggiandosi intimidito da un piede all’altro, con un filo di voce, le aveva detto: “Mi sono innamorato.” Linda aveva stretto gli occhi e piegato all’in giù le labbra, scotendo la testa, come una mamma buona. Si frequentavano ormai da mesi e aveva trovato commuovente quel suo arrivo precipitoso in casa, solo per dirle che era innamorato. Le si era annodata la gola e aveva allargato le braccia. “Oh, cucciolo…” e avrebbe certo continuato, se lui non gli avesse scaraventato quegli occhi terribili in viso, che le avevano sputato contro la verità.

Di un’altra. Luca era innamorato di un’altra.

L’orologio batté tre volte nella quiete della notte.

La rabbia invase Linda. Saltò in piedi e decise seduta stante di partire. Lo scrisse col pennarello nero sulla parete e promise di andare, costasse quel che costasse.

Il muro della realtà, a ben vedere, non è tanto spesso da non poter essere penetrato. Talvolta uno stupido forellino di sigaretta può smagliare la rete. Un solo attimo di silenzio nella mente accende una scia di inattese sinapsi: fra un’idea e ed un’altra c’è sempre un microscopico spazio di possibilità e là attecchisce il germoglio. La risposta che tu sai.

Fu così che Linda iniziò il suo cammino.

 

In una notte di festa, ritornò a casa.

Le strade erano ingombre di bambini scanzonati, le madri sberciavano ammonimenti, mentre i padri se la ridevano delle loro paure e lasciavano che i figli andassero, guidati dalla lunga fila di candele che mostrava loro quale fosse la via da imboccare per giungere fino al cuore del paese, alla piazza, dove c’era gente, dove c’erano fuochi, dove nessuno era solo.

Linda camminava. Le gambe agili, la pelle fresca, respirava profondamente l’estate che impregnava l’aria. Un tremolio la colse e lei si fermò. E se non l’avessero riconosciuta? Se avessero mancato di ritrovare fra le pieghe rosse del suo vestito, l’immagine della bambina di allora che, certo, da qualche parte nella loro memoria dovevano ancora conservare? Che pensieri la invasero, quale rammarico se la ingoiò tutta d’un boccone, quale sbigottimento le raggrinzì la pelle del volto in un susseguirsi di rughe, che smarrimento la colse di fronte all’idea dei visi perplessi degli amici, quale amarezza le mandò in aceto tutti i buoni propositi, quando immaginò occhi su occhi farsi sottili, sottilissimi, appuntiti, affilati per lo sforzo titanico di penetrare la cortina spessa e buia del tempo e ritrovare, là, un se pur flebile rimasuglio della presenza di lei.

Scivolò fra la calca. Nessuno si aspettava di vederla, la credevano ancora lontana. Dapprima qualcuno le rivolse un timido saluto, qualche altro sollevò una mano e i più abbottonati le tesero una mano informale di bentornato, una guancia s’avvicinò per un bacio ed infine l’accolsero in un abbraccio dopo l’altro.

“Hai visto? E’ Linda!”.

La rimproverarono perché non si era più saputo niente di lei, le notizie erano corse di bocca in bocca, snaturandosi. “Stavi così lontano!” bisbigliarono e Linda ripetè: “Lontano…” ed indugiò, con la lingua contro i denti. Le piaceva risentirsi addosso tutta la distanza che era stato necessario frapporre fra sé e le vecchie consuetudini per ritrovare il coraggio e la speranza.

Le domandarono se ci fosse di mezzo qualche sostanziosa novità e lei rise di gusto alla parola ricca.

A quella risata, Luca con le mani tese verso le tartine al pesto e le pizzette, ebbe un sussulto. Si voltò e la vide. Il ricordo di lei gli precipitò addosso, schiacciandogli la testa fra le spalle. Un senso d’impotenza e di vergogna gli inumidì le dita. Non avrebbe voluto ferirla così, ma le era sembrato che… Beh! Le scuse erano un fardello inutile, dopo tutto quel tempo. Gli era piaciuta a prima occhiata con quel suo volto delicato da bambola, arricciato in un’espressione sgomenta di paura, una richiesta impellente di attenzioni e di cura a cui non aveva saputo resistere. E quante notti se l’era tenuta fra le braccia per cullarla, un pigiamino blu svuotato di forza! L’aveva amata, come aveva potuto, in punta di dita, per non strapazzarla, ma lei gli si avvinghiava addosso chiedendogli qualcosa che nessuno poteva darle: un senso per la propria vita.

Luca era scappato, sì, fuggito da quella domanda disperata.

La guardò. C’era adesso una fermezza nel passo di lei, una fiducia nel ricambiare i saluti, un’apertura nell’accogliere gli abbracci, una spontaneità nel sorriso, che sì, sì, Luca ne fu certo: Linda era riuscita a riallacciare le fila del suo destino.

“Ricca?” allibì Linda. “No, ma che dite?!”. La guardarono, tacendo e nel silenzio lei cambiò idea: sì, era ricca e felice. Non poteva dubitarne. Aveva imparato a seguire il proprio istinto, a rischiare per le proprie idee, a non aspettare sempre che le condizioni fossero buone per fare ciò che voleva e a non delegare ad altri la propria vita. Linda si fidava di se stessa.

“Scusa” domandò la signorina Tilly, un’azzimata quarantenne, con i capelli lustri di lacca ed un vuoto dentro, che l’obbligava a starsene con una mano al cuore, sempre, perché solo quel battito le ricordava di essere ancora in vita. “Ma dov’è che sei stata di preciso?”

Linda trasalì. Non avrebbe saputo come spiegare, poi un lampo.

“A Ninive.” Rispose.

“Dove?”.

07.11.2007  Gasperini Chiara

Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore:

«Alzati, và a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò».

Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore.

Giona 3, 1-3

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